Vista dall'alto del Palazzo di Montevecchio, una della antiche dimore degli Isolani di Bologna.
Non di rado racconto degli intrecci storico-culturali che aggrovigliano le vicende dei Colli Bolognesi e della città turrita.
Discutendo di vino, ad esempio, è possibile accedere indirettamente a fatti storici e conoscere meglio territori e vignaioli. Il vino è di fatto un degno testimone della storia e delle vicissitudini dell’uomo che, accompagnandolo attraverso i decenni, i secoli, i millenni ne ha condiviso l’evoluzione.
Tra i più longevi produttori di vino, sui Colli Bolognesi persevera, da moltissimo tempo, una famiglia che indubbiamente ha tessuto e vissuto la storia bolognese da protagonista.
Gli Isolani, ora Cavazza Isolani, sono una delle più antiche famiglie nobili di Bologna con radici che risalgono al Medioevo, delle quali abbiamo testimonianze già dal 1262. Da allora svolsero un ruolo di primo piano nel tessuto cittadino. La famiglia ha sempre avuto una posizione di rilievo nella società bolognese grazie al loro impegno nelle attività politiche e sociali. Agli Isolani appartengono tuttora alcuni tra i palazzi storici più belli e caratteristici della città e provincia.
Il legame tra questa dinastia e il territorio è pressoché indissolubile e questo rapporto così antico e forte acclama gli Isolani come testimoni viventi di un sapere cittadino ricco di episodi, eventi e conoscenza.
Il 20 Aprile 1456 gli Isolani acquisirono la tenuta Montevecchio e a metà del ‘500 fu costruito il palazzo della nobile famiglia, inglobando una torre matildica risalente al XI secolo, probabilmente posta a difesa della città, attualmente sul territorio di Monte San Pietro.
Il palazzo senatorio di Montevecchio tutt’oggi risplende di bellezza e raffinatezza architettonica ricalcando fasti rinascimentali, riflettendo il prestigio della famiglia.
Circondato da un parco all’italiana mantiene le strutture accessorie di un tempo, le stalle, le scuderie, il pozzo merlato e, sotto il palazzo, le cantine originali scavate sul finire del XVI secolo direttamente nella roccia.
Utilizzata dagli Isolani come residenza estiva per secoli, oggi è l’abitazione degli ultimi discendenti dell’antica famiglia felsinea.
Non poco incuriosito dai vini che avrei potuto trovare in questo meraviglioso luogo, realmente intriso di storia, mi accordo e decido di visitare la tenuta e assaggiare qualche vino.
In una torrida mattina mi inerpico su strade che si fanno sempre più ombrose e strette. Giungo infine alla cancellata di Palazzo Montevecchio Isolani, respiro già un’aria aristocratica, non di questi tempi. In luoghi come questo si ben comprende come un tempo, le facoltose famiglie cittadine, si rifugiassero lontano dalla vita urbana, circondati da tranquillità e da un suggestivo ambiente rurale.
Il piccolo viale adornato da cipressi secolari mi porta al cortile del palazzo che si apre sulla imponente facciata della struttura.
Sono pervaso da profumi di agrumi di ogni tipo posti in grandi vasi e in ogni dove, glicini che penzolano da coppi e merlature antiche, oleandri bianchi rossi e rosa che colorano vivacemente l’ambiente, ampio, che mi si pone davanti agli occhi. Una brezza spazza il prato, verdissimo.
Oltre le imponenti siepi e gli alberi e i ricchi cespugli si scorgono i vigneti, su terreni ondeggianti talvolta boscosi, talvolta coltivati.
Al mio arrivo mi accoglie Maria che mi presenta la tanuta raccontandomene la storia e mi accompagna nelle attuali cantine di produzione. Scendiamo delle brevi scale, chissà quante persone le hanno percorse in questi secoli, mi circondano muri che trasudano storia e che custodiscono ora l’archivio, in bottiglia, degli ultimi decenni di produzione enoica degli Isolani. Bottiglie che testimoniano la grande e profonda passione della famiglia per il vino, coperte della sacra polvere del tempo sono allineate su scaffali di legno. Si trovano qui tutti gli strumenti per una produzione di qualità, pressa pneumatica, cisterne in acciaio con temperatura controllata, vasche in cemento vetrificato e botti di rovere francese.
I vigneti, 13 ettari, sono composti per la maggiore da Pignoletto, a seguire Sauvignon Blanc, Chardonnay, Merlot e Cabernet Sauvignon posti principalmente su terreni argillosi condotti in regime biologico. Le altezze non sono eccessive ma l’esposizione dei vigneti e i terreni riescono a conferire a questi vini una particolare struttura, mai esuberante ma nemmeno esile. Sarà la suggestione di assaggiare vini realizzati in cantine che hanno accolto cinque secoli e mezzo di vendemmie, sarà perché ogni scoperta è affascinante ma la bellissima atmosfera della sala degustazioni ti pone l’anima sulle giuste coordinate per aprire il cuore e farselo sfiorare dai vini di questo lato dei Colli Bolognesi.
Maria è una vera padrona di casa e metterebbe a proprio agio anche un astemio.
Assaggio qualche calice di bianchi ma vorrei soffermarmi su l’unico rosso degustato, un rosso di carattere, con personalità, degno di abbinamenti importanti. Il “Palazzo di Montevecchio Riserva 2012” è un uvaggio composto da 60% di Cabernet Sauvignon e 40% da Merlot che dopo la fermentazione separata viene assemblato per passare 3 anni in barrique di rovere francese di secondo passaggio. Pochi mesi di stabilizzazione in bottiglia ed è pronto per il mercato.
Il calice si tinge di un rosso rubino impenetrabile con deliziosi riflessi violacei, naso intenso, pervaso da frutti rossi e neri, anche sotto spirito, penso a ciliegie e more e mirtilli; alcune spezie fanno la loro apparizione come pepe nero in grani e cannella. Il sorso caldo e avvolgente presenta tannini setosi, sensazioni di tabacco e cioccolato non coprono i frutti di bosco a lunga maturazione percepiti al naso. Lungo, molto lungo, finemente equilibrato, è un bellissimo vino che può essere un meraviglioso solista da meditazione o affiancato a piatti degni di questo rosso come tagliatelle al ragù bolognese o lasagne al forno, risotto al fagiano, colombaccio alla cacciatora o carni rosse alla griglia.
Ho trovato questo vino un degno compagno per anime inquiete, anime vibranti.
Credo che il “Palazzo di Montevecchio”, sia uno di quei vini dei Colli Bolognesi che sappia fare compagnia e scaldare l’animo del suo bevitore, momenti malinconici, mesti, potrebbero essere resi meno pesanti, meno cupi. Sono certo che la funzione del vino, poterlo comprendere, quasi ascoltarlo, assunto nei limiti, possa essere assolutamente anche terapeutica. Penso anche che il giusto abbinamento di un vino non debba essere per forza un piatto o una pietanza, ma possa essere un momento della giornata e del nostro umore.
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