La visione di Daniele Borghi

Viti piuttosto mature gestite ottimamente da Daniele Borghi, vignaiolo a Zola Predosa BO.

Il territorio della Valsamoggia si trova a sud ovest della città di Bologna ed è lì che troviamo il cuore di una produzione enoica di particolare pregio. In Valsamoggia dimorano aziende vitivinicole dalle cui produzioni fuoriescono eccellenti bottiglie che, lentamente, si stanno facendo notare sul panorama nazionale ed estero.

La particolare struttura dei suoli rende questa zona piuttosto eterogenea e le condizioni pedoclimatiche accentuano le sorprendenti differenze tra bottiglia e bottiglia della stessa annata, dello stesso vino.
Dirigendosi ad est, lasciamo la valle del torrente Samoggia, passiamo alle spalle della città felsinea fino a giungere nella valle dell’Idice. Anche se si percorrono più di cinquanta km, la situazione non muta, confermando la meravigliosa diversità di situazioni climatiche e morfologiche che, di volta in volta, accentuano una matrice gessosa piuttosto che argillosa, con il denominatore comune di sabbie antiche, fossili.
In realtà, in tutto questo territorio, non si trovano le grandi aziende che in altre zone del Belpaese hanno contribuito alla fama di quei posti, condizionando inevitabilmente gusti e mercati.

I Colli Bolognesi enoici sopravvivono imbrigliati in una fitta rete di piccole e medio-piccole aziende dall’aria familiare, in un’atmosfera densa di calore umano e calli sulle mani, dove una degustazione improvvisata diventa un momento conviviale tra fette di salame, chiacchiere e calici di vino. Forse perché qui il pachiderma mediatico fregiato dalla nomea dei grandi vini, del successo commerciale, dell’autorevolezza di ricchi vigneron-magnati fatica a passare, si sviluppa, puntuale, un certo ingegno, una certa capacità di ottenere pregiatissimi vini dei quali, però purtroppo, pochi ne vogliono godere.
Probabilmente in queste persone si cela l’innata capacità di realizzare eccellenze dal nulla, o quasi.
I Colli felsinei rimangono permeati da quell’alone torbido e impenetrabile della quasi indifferenza e queste terre, queste colline, subiscono la stessa sorte di altre regioni vitivinicole italiane che, loro malgrado, non riescono a trovare la soluzione per brillare di luce propria, per i propri meriti, tracciare fortunate e prosperose vie.

Pertanto alcuni produttori, anche piuttosto giovani, si dilettano in coraggiose sperimentazioni utilizzando alcuni vitigni resistenti in blend con uve autoctone, altri impiantando antiche varietà pressoché scomparse, altri ancora accodandosi ai più audaci, seguono le loro orme.
La qualità raggiunta, un po’ sottobanco, da molti vigneron locali ci fa capire che i vini bolognesi possono già concorrere ed eguagliare gli altissimi livelli raggiunti, già da tempo, in altre realtà nazionali. Sarebbe giunto il momento di riuscire ad imporsi e farsi notare dai difficili mercati attuali anche per una equazione tra qualità e prezzo altamente vantaggiosa.

Sono molti i piccoli produttori che senza fare troppo rumore, imbottigliano sogni, realizzano autentiche perle qualitative, pregiatissimi vini. Per dare un senso a queste parole vorrei menzionare, tra i piccoli vignaioli, Daniele Borghi, a Zola Predosa, comune di poco meno di ventimila abitanti posto a ovest di Bologna, all’ombra del Colle di San Luca, verso la Valsamoggia.
Daniele ha, con il vino, un rapporto di sanguigna passione, discepolo di alcuni maestri vignaioli dei Colli Bolognesi e in perenne confronto con molti di loro, ha un progetto, un obiettivo da perseguire.
Il 2009 è l’anno del battesimo del vino, ma fino al 2016 dribbla avversari su campi da calcio e tra amici recita su palcoscenici teatrali ma il vino resta un amore fedele, irrinunciabile. Sommelier dal 2013, Daniele vuole carpire ogni segreto del mondo enoico, in linea con il suo progetto segue corsi di viticoltura ed enologia all’università di Cesena e partecipa a diversi corsi di viticoltura biodinamica.
Due ettari di vigne in affitto, con una gestione attenta e oculata dell’ambiente, vigne inerbite, sovescio, trattamenti solo a rame e zolfo che si contano su una sola mano fanno di Daniele un ambasciatore della nuova visione del vino più vero possibile.
Parte attiva della brigata di vignaioli naturali dei Colli Bolognesi Tôt d’un fiè, letteralmente “Tutto d’un fiato” dove convergono veterani e reclute del vino petroniano.
Daniele porta le uve nella piccola cantina dove in una scacchiera di cisterne in acciaio, vetroresina, vasche in cemento e due legni non nuovi che servono per sperimentare, per sognare il suo vino, ci si sente a casa.
Non dispone delle più moderne attrezzature ma quelle che ha lo spingono a realizzare alcuni dei più bei vini di questa zona. Non vuole e non può correggere in cantina annate bizzarre ed estenuanti, faticose e deludenti quindi alla pochissima gestione in cantina ribatte con una grande gestione del vigneto. Fermo paladino del pochissimo solfito, ne utilizza un 5% della soglia minima consentita solo nei travasi e anche se, il clima impazzito, lo dovrebbe convincere a un piccolo ritocco, lui non desiste. Solo lieviti indigeni e uve trattate come fossero in un centro benessere sono la firma di una promettente mano che diventerà, ne sono certo, un punto di riferimento del vino bolognese.
Secondo la sua filosofia, un intervento limitato in cantina, quasi nullo, porterà nel calice la più autentica espressione dell’annata, la più vera prova della mano del vignaiolo e la più originale versione del terroir.
Su terreni prevalentemente argillosi, tra i filari che gestisce troviamo Pignoletto, Trebbiano, Barbera, Cabernet Sauvignon, pochissime piante di Albana e la rediviva Alionza, grazie a Dio, sempre più presente nel vigneto bolognese, audentes fortuna iuvat.
Sognatore di quel meraviglioso trittico fatto di Pignoletto, Trebbiano e Albana che si trovava vivere insieme nelle vecchie vigne, Daniele intanto produce un Pignoletto da raccolta tardiva, il Bartlòt che si sposa alla perfezione con i tortellini in brodo. E non è poco.
Apriamo dunque alcune bottiglie e le assaggiamo insieme nella sua piccola cantina, laboratorio di vino, fucina di idee.
Ci sediamo su un piccolo tavolo, Daniele estrae da un frigo un piccolo tegame con del buonissimo “friggione”, pane e Parmigiano Reggiano di 36 mesi.
Ah, il friggione… beh il friggione è quella salsa tipica bolognese fatta con cipolle bianche e pomodori, lo si può assumere caldo in inverno e freddo in estate in dosi massicce su fette di pane casalingo o a lato di pietanze di ogni genere. Una vera delizia!

Tra i suoi vini mi colpisce la nuova annata dello Strupél bianco, un rifermentato in bottiglia con l’assemblaggio di 70% Pignoletto e 30% Trebbiano e il rosso Sarvìsa, Cabernet Sauvignon in purezza.
Il suddetto bianco, ancora scalpitante come un giovane puledro, non è filtrato e promette di assumere le caratteristiche da grande vincente di razza. La raccolta delle uve è avvenuta leggermente in anticipo per preservare acidità e combattere il grande caldo e dopo le tipiche lavorazioni in cantina rimane sei mesi in acciaio quindi viene imbottigliato.
Lo Strupél bianco è un vino torbido di un colore giallo paglierino intenso. Il naso sebbene le note erbacee siano ben avvertibili, esprime profumi di fieno appena tagliato, fiori gialli e frutti come mela e pera ben maturi, interi campi di camomilla pervadono le narici ed erbe aromatiche ne mitigano l’esuberanza. Al sorso spicca una bella spalla acida, forse data ancora dall’immaturità del vino, mineralità con note iodate evidenti e poco alcol spostano questo bel bicchiere verso le zone più dure, ma versato alla giusta temperatura è un gradevole bere. Intenso e lungo invita subito ad un altro assaggio. Ha tanta prospettiva e lo riassaggerò verso il periodo natalizio quando il giovane vino esuberante sarà più pacato, riposato e disposto verso attese morbidezze.
Il rosso Sarvìsa lo racconto la prossima volta perché è uno dei rossi più sorprendenti mai assaggiati quest’anno e vorrei avere le idee chiare.
In questa calda serata estiva bolognese ho conosciuto un ragazzo vero, autentico, con immaginazione e voglia di fare, con fantasia e che sa mettersi in gioco, ricetta perfetta per diventare un eccellente vigneron.

Forse questo è uno dei segreti per far brillare i Colli Bolognesi? Forse è questo tipo di vignaioli che dovranno guidare le nuove audaci generazioni di vigneron petroniani? Di sicuro Daniele Borghi ha la stoffa giusta e sentiremo spesso parlare di lui. Non rimane che brindare con un bel vino felsineo… à votre santé.

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