Il Maiolo, enigmatico rosso petroniano.

Grappoli di Maiolo maturi, pronti per la vendemmia

Diffusissima uva del territorio bolognese a bacca scura, poco citata e oramai quasi completamente perduta, è il Maiolo o Maiolus.
Pier de’ Crescenzi la citò nel 1304 nel suo famosissimo Ruralium Commodorum libri XII come un'uva del bolognese di vasta e molto consueta coltivazione.
Persa ora in taluna rara pianta posta qua e là in qualche filare, se ne sono quasi dimenticate le tracce e l’identità. Per secoli confusa con il Negretto, poiché pareva avesse le medesime caratteristiche, si è poi scoperto che non sono la stessa uva e si stanno attendendo i risultati dell’esame del DNA per osservare se possano almeno avere legami di parentela.
Può succedere, che uve vissute per anni nello stesso areale, abbiano “genitori” comuni ma non siano la stessa uva. Pensiamo a quello chè è accaduto con il Cabernet Sauvignon in Francia nel XVII secolo, ottenuto per una probabilissima impollinazione autonoma tra Cabernet Franc e Sauvignon Blanc. Sulle uve, anche quelle più famose e conosciute, aleggiano leggende su esotiche origini, su arcane provenienze, viaggi intercontinentali e personaggi famosi che ne bevevano il vino. Le leggende spesso si confondono con la realtà e se provengono sin dalla notte dei tempi allora questa confusione sarà più sottile, quasi impercettibile. Come se l’origine, la fonte dei racconti fosse posta nelle stessa identica sorgente, dove la leggenda è essa stessa la realtà e viceversa.
La ricerca assidua del vero, del reale accadimento, della prova scientifica, spegne drasticamente il calore del racconto leggendario, dell’aneddoto. Del resto ogni scienza ha come fine ultimo la ricerca della verità.


Tornando con i piedi tra i filari, mi pongo una domanda: come mai, essendo i vini prodotti da Negretto e Maiolo diversi, essersene confuse le uve? In effetti la risposta potrebbe essere proprio nelle produzioni enoiche del passato, quando si utilizzavano molte uve diverse per riempire i tini. Questo modus operandi, al di là dell'approssimazione delle cantine di allora, era utilissimo per dare un buon equilibrio ai vini prodotti, la tal uva donava acidità, l’altra tannini, l’altra ancora aromi profondi, ecc… La vita dei vini era poi molto breve, non per la qualità delle uve ma certamente per una gestione in cantina piuttosto superficiale. Più probabilmente per un concorso di responsabilità tra gestione del vigneto e della cantina.
Infine il misterioso Maiolo che è il primo ad invaiare, cioè cambiare il colore degli acini da verde a colorato, che matura tardivamente accumulando più sostanze zuccherine, che resiste bene all’oidio, ovvero una malattia fungina e alla siccità che vini potrebbe regalarci? Che sensazioni potremmo aspettarci? Ma soprattutto sarà in grado di emozionarci?
Nei nostri curiosi calici troveremo grande struttura, buon corpo e grado alcolometrico importante, tannini poderosi che col passare del tempo appariranno più vellutati e morbidi. La debole aromaticità consiglierebbe di assemblare il Maiolo ad altri rossi del territorio, ricchi di quelle caratteristiche qui un po’ troppo discrete.

In attesa delle analisi ampelografiche e sul DNA di questo oscuro vitigno bolognese, mi piace sognare che possa essere vinificato in grande stile e che magari insieme al Negretto e la Barbera possa regalarci un vero, grande e autentico vino rosso felsineo.
Per ora accettiamo il Colli Bolognesi DOC Bologna Rosso, che in tutta sincerità di petroniano non ha molto.

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